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Rapporti tra associazione per delinquere e D.lgs.vo 231/2001

Ogni reato fine dell’associazione viola il D.lgs.vo 231/2001?

L’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. si configura: “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti”; la condotta incriminata consiste sia nel “promuovere, costituire od organizzare” l’associazione, sia nel “partecipare” all’associazione. Elemento fondamentale è la coscienza e volontà di far parte in maniera permanente di un sodalizio criminoso, ed anche l’“intenzione di contribuire all’attuazione del generico programma criminoso”, tuttavia non è necessario che la volontà abbia quale oggetto immediato la realizzazione di delitti specificamente individuati.
Il delitto di associazione per delinquere è reato contenuto nell’elenco di quelli fondanti la responsabilità c.d. amministrativa [rectius penale] dell’ente, ai sensi dell’articolo 24 ter del D.lgs.vo 231/2001 (inserito dalla Legge n. 94/2009 c.d. “Pacchetto sicurezza”). L’inserimento del delitto de quo nel catalogo 231 comporta che laddove un numero non inferiore a tre di soggetti operanti in seno alla società (subordinati o apicali) si associ allo scopo di commettere reati, potrebbe essere contestata la fattispecie di associazione per delinquere anche a carico dell’ente che sarebbe chiamato a rispondere patrimonialmente per tale evento.
L’inserimento del reato associativo tra i reati presupposto del catalogo 231 determina criticità di tenuta e compatibilità con il principio di legalità (in particolare principio di tassatività dei reati presupposto) in quanto l’associazione per delinquere potrebbe essere costituita per la commissione di reati fine anche non previsti nel D.lgs.vo 231/2001, con il conseguente rischio di una dilatazione indeterminata dei reati per i quali è possibile configurare una responsabilità amministrativa/penale dell’ente.
A tal proposito si è censurato il vizio di imputazioni che indicavano come delitti scopo dell’associazione una serie di fattispecie di reato del tutto estranee al tassativo catalogo dei reati-presupposto dell’illecito dell’ente collettivo e come tali oggettivamente inidonee, ex D.lgs.vo n. 231 del 2001, articoli 2, 5 e 24 ss., a fondarne la stessa imputazione di responsabilità dell’ente.
La contestazione dell’art. 416 c.p. determinerebbe una violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio del D.lgs.vo n. 231 del 2001, poiché disposizione “aperta”, idonea a ricomprendere nei reati-presupposto qualsiasi reato; potrebbe determinare un’ingiustificata dilatazione della responsabilità della società o dell’ente e degli organi direttivi degli stessi. Inoltre i modelli di organizzazione verrebbero in tal modo adottati su basi incerte (e nella totale assenza di criteri oggettivi criteri di riferimento) (Cass. Pen., Sez. VI, 24 gennaio 2014 n. 3635). Trasferendo gli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere sul piano aziendale è ben evidente che la mappatura del rischio di tale fattispecie criminosa – per la redazione del modello di organizzazione e gestione ex D.lgs.vo 231/2001 – risulterebbe particolarmente complessa, considerato che la stessa natura del reato impedisce l’individuazione di peculiari settori dell’attività aziendale in cui vi sia rischio di perpetrazione dello stesso : in sostanza diviene praticamente impossibile individuare le attività a rischio-reato ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lett. a) del D.lgs.vo 231/2001.

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