La diffusione intenzionale di contenuti falsi per scopi dannosi rientra fuor di dubbio nel perimetro delineato dal delitto di diffamazione che si configura quando “chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”. Il delitto de quo è aggravato, ai sensi del terzo comma, quando l’offesa sia arrecata con il mezzo della stampa o con “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”; entro tale categoria vi rientra ogni “strumento che sia volto a rendere conosciuta una notizia o un evento”, come ad esempio, un post pubblicato sul social network Facebook, o Twitter ovvero la pubblicazione su un blog. (Cass. pen., Sez. V, del 10 maggio 2023, n. 29621; Cass. pen., Sez. V, del 14 dicembre 2022, n. 2251).
L’avvento di nuove piattaforme come ChatGPT solleva numerose questioni nei casi in cui non vi sia un corretto e regolare uso di tali sistemi, in particolare quando vengano diffuse informazioni mendaci facenti capo a soggetti determinati e ciò non avvenga intenzionalmente ma sia da considerarsi come una “allucinazione” generata dal sistema, si può aprire uno spiraglio per la concreta punibilità di tali condotte? E se si, in capo a chi risiede la punibilità?
ChatGPT è un software dell’intelligenza artificiale, sviluppato da OpenAI e creato per instaurare conversazioni con l’uomo, soprattutto negli ultimi mesi, sta avendo un forte impatto sulla nostra vita considerando i milioni di utenti che ogni giorno vi si rivolgono per questioni di ogni genere.
Nel caso in cui i commenti diffamatori provengono da questo bot arrecando danni alla reputazione del soggetto interessato, come accaduto per un professore di diritto accusato di avances sessuali verso una studentessa, o nel caso di un sindaco sospettato di corruzione, non sembrano sorgere dubbi sulla riconducibilità entro il perimetro punitivo della fattispecie ex art. 595. Di più, la diffamazione è aggravata ai sensi del comma 3, poiché ChatGPT può essere considerato uno strumento di pubblicità, estendendo allo stesso il medesimo trattamento riservato a Facebook o ad un blog.
Nel caso di specie dovrebbe considerarsi responsabile l’organizzazione sull’intelligenza artificiale (OPEN AI) per tutti i danni che ChatGPT reca agli utenti, al pari della responsabilità che sorge in capo al provider o al gestore del blog.
Va chiarito come, al momento, non ci sia un espresso rinvio alla normativa sulla diffamazione aggravata per le condotte suddette, e come la giurisprudenza sul punto non abbia delineato un orientamento essendo un tema di estrema attualità. L’arduo lavoro che dovrà essere svolto dai giudici sarà proprio quello di sanzionare, riconducendo le pubblicazioni di ChatGPT entro la sfera di punibilità del delitto di diffamazione aggravata, i responsabili delle “allucinazioni” create dal bot che arrecano danni a coloro che sono vittime del sistema.