La Corte d’appello di Bologna confermava la decisione del giudice di prime cure che condannava gli imputati per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale. Nel caso di specie, tramite la stipula di contratti di usufrutto e locazione sugli immobili della società fallita e il successivo trasferimento della nuda proprietà a una società riconducibile allo stesso gruppo familiare, la società D. SRL distraeva il proprio patrimonio.
L’operazione era finalizzata a ottenere un mutuo garantito sugli stessi beni, senza tuttavia che i canoni di locazione – necessari a sostenere il pagamento del mutuo – fossero statu mai corrisposti dagli occupanti degli immobili. Tanto risultava necessario per la Corte territoriale a provare l’elemento oggettivo e soggettivo del reato : l’operazione economica era volta a compromettere l’integrità del patrimonio sociale della fallita a discapito dei creditori privilegiati.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione, con cui il ricorrente lamentava la mancata dimostrazione tanto dell’elemento oggettivo quanto di quello soggettivo del reato contestato. La Suprema Corte, compatibilmente con quanto sostenuto dalla difesa, ribadiva che il solo distacco di un bene dal patrimonio sociale non fosse di per sé sufficiente a integrare la bancarotta distrattiva al momento del fallimento. In particolare, “il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è reato di pericolo in concreto, sicché, al fine della prova del reato, il giudice, oltre alla constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, deve valutare la qualità del distacco patrimoniale che ad esso, consegue, ossia il suo reale valore economico concretamente idoneo a recare danno ai creditori” (Cass. Pen, Sez. V, n. 28941, del 14 febbraio 2024, Messina, Rv. 287059-01).
La Corte richiamava il concetto di “zona di rischio penale”: “un’esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-falliementare come reato di pericolo in concreto impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all’idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in un paramento spazio temporale ragionevole (zona di rischio penale) entro il quale l’apprezzamento di uno stato di crisi dell’impresa, conosciuto dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo” .
Emergeva contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale, in quanto incentrata sul solo distacco patrimoniale senza considerare la natura dell’operazione e, soprattutto, senza valorizzare il dato temporale, atteso che il fallimento interveniva quattro anni dopo. Per tali ragioni la Suprema Corte annullava la sentenza e rinviava alla Corte d’Appello di Bologna affinché riesaminasse la configurabilità del reato contestato e valutasse l’eventuale sussistenza del diverso reato di bancarotta fraudolenta preferenziale.
