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Evasione mediante fatture relative a operazioni inesistenti

Commento sentenza Cass. 25825 del 14 luglio 2025

La Corte d’Appello di Trieste confermava la sentenza di condanna pronunciata in primo grado nei confronti di una imprenditrice individuale, riconosciuta colpevole del delitto ex art. 2 del D.lgs.vo n. 74/2000. L’imputata, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva utilizzato sette fatture relative a operazioni inesistenti, indicando, nella dichiarazione annuale dei redditi del 25 settembre 2015, elementi passivi fittizi.

Il ricorrente lamentava, quale primo motivo, la violazione del principio del ne bis in idem. Osservava come per il medesimo fatto, in relazione alla medesima dichiarazione e alla stessa imposta evasa (imposta sul reddito), era già stata irrevocabilmente pronunciata, nei confronti della donna, sentenza di assoluzione da parte del Tribunale di Udine nel 2019.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso, ritenendo fondato e assorbente il primo motivo. I giudici di legittimità ripercorrevano la sentenza del Tribunale di Udine del 2019, con la quale l’imputata era stata assolta. In quel procedimento si contestava l’utilizzo di dodici fatture per operazioni inesistenti emesse nel 2014, anch’esse confluite nella dichiarazione dei redditi presentata il 25 settembre 2015, la stessa del procedimento in esame.  

Confermato che in entrambi i procedimenti l’imposta oggetto di evasione risultava essere l’imposta sul reddito e non l’IVA, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello, i giudici di legittimità ritenevano sussistente la violazione del principio del ne bis in idem.

Segnatamente affermavano “il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione e non già nel momento in cui detti documenti vengono registrati in contabilità, sicché, se la dichiarazione è unica, unico è il reato commesso pur se i documenti utilizzati siano plurimi o abbiano diversi destinatari”. Di conseguenza è irrilevante il numero delle fatture o degli altri documenti utilizzati per abbattere i costi poiché la registrazione di tali documenti rappresenta solo un’attività prodromica alla realizzazione del reato ex art. 2 del D.lgs. n. 74/2000.

 

Per tali ragioni, la Corte annullava senza rinvio la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 649 c.p.p., rilevando l’improcedibilità dell’azione penale sin dall’origine, essendo il giudizio di primo grado stato instaurato nonostante la preesistenza di una sentenza irrevocabile di assoluzione per il medesimo fatto.

Roma, 21 Luglio 2025                                                                                     Avvocato Carlo Zaccagnini

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