- DEFINIZIONI
A. Bancarotta fraudolenta prefallimentare (Art. 216, co. 1, n.1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267)
La bancarotta fraudolenta prefallimentare è un delitto che si configura quando un imprenditore, prima della dichiarazione di fallimento, compie atti volti a sottrarre o diminuire il patrimonio aziendale, con l’intento di danneggiare i creditori. Si tratta di un reato di pericolo concreto: l’atto compiuto deve essere effettivamente idoneo a compromettere la possibilità dei creditori di essere soddisfatti.
Perché il reato si configuri, è necessario che vi sia un atto di distrazione patrimoniale, il dolo specifico da parte dell’imprenditore (cioè, la consapevolezza e volontà di pregiudicare i creditori), e che venga pronunciata una sentenza di fallimento.
La pena prevista per questo reato è la reclusione da tre a dieci anni, con possibilità di variazione in base alle circostanze specifiche del caso.
B. Bancarotta fraudolenta post-fallimentare (Art. 216, co. 2, D. 16 marzo 1942, n. 267)
La bancarotta fraudolenta post-fallimentare è un reato che si realizza quando un imprenditore, dopo la dichiarazione di fallimento, sottrae o distrae beni appartenenti al patrimonio fallimentare oppure trattiene per sé, oltre i limiti consentiti, i proventi derivanti da attività svolte successivamente al fallimento. Si tratta, in sostanza, della prosecuzione di condotte fraudolente che avvengono dopo la sentenza di fallimento.
Affinché il reato si configuri, è necessario che sia intervenuta la dichiarazione di fallimento e che l’imprenditore agisca con dolo, cioè con la volontà di ridurre le garanzie patrimoniali dei creditori.
La pena prevista è la reclusione da tre a dieci anni, identica a quella della bancarotta prefallimentare, e possono aggiungersi sanzioni accessorie come l’inabilitazione all’esercizio d’impresa e l’interdizione da cariche direttive.
- PEN., SEZ. V, N. 22303, DEL 17 APRILE 2025
La decisione in commento ha ribadito la configurabilità della bancarotta fraudolenta prefallimentare quale delitto di pericolo in concreto : “la distrazione dei beni dell’ impresa deve risultare concretamente idonea a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori. La valutazione dell’ idoneità deve essere condotta con giudizio ex ante e riferita alle caratteristiche dell’atto depauperativo e alla situazione finanziaria della società. Non è sufficiente la mera constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, ma occorre un’approfondita verifica della qualità e della pericolosità reale della condotta”
Il ricorrente impugnava la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, articolando due motivi di ricorso. Con il primo motivo, denunciava l’erronea applicazione della legge fallimentare e i connessi vizi di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta post-fallimentare. Secondo la difesa, i beni contestati risultavano essere entrati nel patrimonio della società fallita attraverso l’acquisto di altre società, ma non venivano successivamente rinvenuti dalla curatela. Tuttavia, detti beni si utilizzavano per l’esecuzione di un appalto e si trovavano fisicamente presso l’impresa committente, dove rimanevano anche dopo la cessazione del contratto.
L’imputato, all’epoca, non aveva ancora assunto la gestione della società e quindi non aveva mai avuto la disponibilità materiale dei beni.
La condotta, pertanto, non si poteva configurare come distrazione post-fallimentare, ma – al più – come bancarotta pre-fallimentare, per la quale si richiedeva una valutazione ex ante del concreto pericolo per i creditori, accertamento che nella sentenza impugnata non risultava effettuato.
La Cassazione riteneva fondato il ricorso, limitatamente alla bancarotta fraudolenta distrattiva, per la quale doveva disporsi l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio di merito. Il vizio argomentativo della sentenza impugnata riposava nell’aver omesso il confronto con le deduzioni difensive e immotivatamente obliterato lo scrutinio, pure specificamente sollecitato, in merito alla qualificazione giuridica della condotta illecita e alle conseguenze in tema di danno al ceto creditizio.
Nel caso in esame, si rilevava una carenza dell’imputazione, la quale non analizzava puntualmente il dies commissi delicti,: se antecedente alla dichiarazione di fallimento, come sosteneva la difesa, ovvero successivo, attraverso l’indebita sottrazione o distruzione di beni strumentali facenti parte dell’attivo fallimentare. Inoltre, tale imputazione conteneva un unico riferimento temporale ossia quello relativo alla data del fallimento. Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, tale data è considerata come il momento consumativo del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare. Tale circostanza portava quindi a ritenere che la condotta contestata rientrasse proprio in questa tipologia di bancarotta, e non in quella post-fallimentare.
Dovendo pertanto il giudice ad quem rinnovare il giudizio di merito, la Corte di cassazione coglieva l’occasione per ripercorrere alcune coordinate ermeneutiche relative alla bancarotta fraudolenta prefallimentare. In particolare, ribadiva come il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare fosse un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie. Ai fini della prova del reato, il giudice non può basarsi soltanto sulla mera constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo in quanto tale, ma deve valutare la qualità del distacco patrimoniale.
Si ribadiva, dunque, il rifiuto di qualsiasi ricostruzione, della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di “pericolo presunto”, vale a dire come ipotesi criminosa che, basandosi sulla constatazione tout court dell’esistenza dell’atto distrattivo, si affidasse ad una catena di presunzioni fondate sulla rimproverabilità dell’esposizione a pericolo del patrimonio, destinate a divenire reato fallimentare solo con la successiva declaratoria giudiziale.
La questione che avrebbe dovuto essere affrontata dalla Corte di appello riguardava un puntuale scrutinio dell’esatta dimensione della distrazione, se prefallimentare o post-fallimentare, che però non trovava una chiara e specifica esegesi nella sentenza di merito. Tale chiarimento era invece necessario per fornire una compiuta risposta alle deduzioni difensive, le quali chiedevano la verifica dell’offensività del reato di bancarotta patrimoniale prefallimentare secondo i canoni interpretativi del diritto vivente.
Per tali ragioni la Corte annullava la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta per distrazione, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Dichiarava inammissibile nel resto il ricorso.