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Perquisizione domiciliare: la CEDU sanziona l’Italia.

Corte EDU Brazzi c/Italia, 27 settembre 2018

 

 Con la Sentenza Brazzi c/Italia del 27 settembre 2018, la Corte EDU ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 8 della Convenzione in tema di perquisizione domiciliare.

Il fatto storico

Il Sig. Marco Brazzi, residente in Germania, iscritto all’A.I.R.E., proprietario di immobile ad uso abitativo in territorio italiano, era sottoposto ad accertamento fiscale nell’anno 2010: il 6 luglio 2010, la Procura della Repubblica di Mantova ordinava la perquisizione dell’abitazione del Brazzi ex art. 247, primo comma, c.p.p., delegando la Guardia di finanza per l’adempimento finalizzato al sequestro probatorio di quanto rinvenuto.

Il Brazzi, conosciuto il proprio status di indagato, dichiarava alla Procura di non aver mai ricevuto comunicazione della verifica fiscale in corso e si metteva a disposizione dell’Autorità Giudiziaria per fornire ogni chiarimento richiesto. Nonostante ciò, il 13 luglio 2010 era emesso secondo ordine di perquisizione locale; l’attività era effettuata il 6 agosto 2010, alla presenza di un parente dell’indagato, e si concludeva con esito negativo: nulla era sottoposto a sequestro.

Il Brazzi depositava memoria difensiva all’Inquirente che formulava richiesta di archiviazione per il paventato delitto tributario; il Giudice per le Indagini Preliminari concordava sulla richiesta. L’indagato, tuttavia, ricorreva in Cassazione avverso l’ordine di perquisizione emesso il 13 luglio 2010, lamentandone l’illegittimità: la verifica fiscale avrebbe potuto essere effettuata con modalità diverse e non lesive del diritto a veder rispettato il proprio domicilio italiano.

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso per le seguenti ragioni: (a) l’art. 257 c.p.p. prevede il riesame dell’ordine di perquisizione solo ove sia esitato nel sequestro di res; (b) nel caso in cui vi siano violazioni di legge durante una perquisizione personale o domiciliare, l’ordinamento riconosce soltanto una sanzione disciplinare a carico degli operanti di P.G.; (c) nelle ipotesi di perquisizione, non è ammissibile ricorso diretto in Cassazione ex art. 111 Cost. in quanto tale mezzo di ricerca della prova non reca alcun pregiudizio alla libertà del soggetto. Esauriti i rimedi interni, il Brazzi ricorreva, dunque, avanti la Corte EDU di Strasburgo censurando la violazione degli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 6 (diritto ad un equo processo) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo).

Le norme di diritto nazionale coinvolte

Rilevano nel caso in esame: (i) gli artt. 257 ss. c.p.p. e (ii) gli artt. 1 e 2 della Legge n. 117 del 13 aprile 1988.

(i) Gli 247, 250 e 251 c.p.p. prevedono regole e garanzie della perquisizione domiciliare, che è disposta “quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo”; durante la fase delle indagini preliminari, la decisione spetta al Pubblico Ministero, che emette decreto motivato. L’ordine di perquisizione deve essere consegnato all’indagato o a chi abbia la disponibilità del luogo e questi hanno la facoltà di farsi assistere da un avvocato. Se mancano tali persone, è notificato a un congiunto o al portiere. Una perquisizione domiciliare non può essere iniziata prima delle ore 7 e dopo le ore 20, salvo casi urgenti.

Qualora alla perquisizione consegua un sequestro, l’art. 257 c.p.p. riconosce all’indagato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, la possibilità di proporre riesame avverso il decreto di sequestro, sul quale decide entro 10 giorni il Tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento.

(ii) Il risarcimento dei danni causati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie può essere richiesto “a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, […], che esercitano l’attività giudiziaria, […], nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria” ( 1, comma 1, e 2, Legge n. 117 del 13 aprile 1988). La norma vigente al tempo dei fatti occorsi al Brazzi stabiliva:

1. chi ha subito un danno ingiusto per effetto […] di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale;

2. l’esercizio delle funzioni giudiziarie non dà luogo a responsabilità quando si esplichi nella interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove;

3. costituiscono colpa grave:

– la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

– l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

– la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

– l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza.

Le modalità per ottenere il risarcimento del danno contro il Giudice resosi colpevole di dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o di diniego di giustizia sono previste dall’art. 4, comma 2, della Legge n. 117/1988: l’azione contro lo Stato doveva essere esercitata, a pena di inammissibilità, entro due anni dalla data in cui il provvedimento contestato era divenuto definitivo.

La posizione assunta dalle parti

Brazzi con il suo avvocato sosteneva che l’ordine di perquisizione emesso in proprio danno costituisse ingerenza ingiustificata del rispetto del proprio domicilio: la Procura avrebbe potuto verificare agevolmente in modo meno pervasivo la sua situazione fiscale, tramite:

(i) consultazione dell’amministrazione fiscale tedesca;

(ii) richiesta di informazioni dal medesimo, che si era reso disponibile a collaborare di persona con le Autorità

Nonostante ciò, “le Autorità avevano persistito nell’intento di violare il suo domicilio, sulla scorta di un decreto di perquisizione e di sequestro dal carattere vago e impreciso”.

Il ricorrente lamentava ancora di non aver potuto ricevere un controllo effettivo sul provvedimento emesso nei suoi confronti, poiché la Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, stabiliva come il decreto di perquisizione non fosse impugnabile secondo il diritto italiano.

Il Governo, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, affermava come il Brazzi avrebbe potuto richiedere il risarcimento del danno al giudice civile secondo la Legge n. 117/1998, pertanto era da considerarsi soggetto carente di interesse ad ottenere l’annullamento del decreto di perquisizione.

La decisione assunta dalla corte EDU

La Corte EDU riconosce come la perquisizione abbia comportato una “ingerenza delle autorità pubbliche” nel diritto alla vita privata dell’interessato e pone sotto la lente di ingrandimento l’art. 8, par. 2, della CEDU, per verificare se, nel caso in esame, l’attività fosse stata quantomeno eseguita nel rispetto dei presupposti di garanzia: (1) previsione legislativa, (2) perseguimento di uno o più scopi legittimi, (3) necessarietà in una società democratica.
Ritenute sussistenti le condizioni (1) e (2), la Corte rileva come, affinché il mezzo di ricerca della prova (perquisizione) possa essere compatibile con il diritto dello Stato membro, quest’ultimo debba “offrire garanzie adeguate e sufficienti contro l’abuso e l’arbitrarietà”. E, conseguentemente, riconosce che “il fatto che una richiesta di perquisizione sia stata oggetto di un controllo giurisdizionale, non costituisce necessariamente, di per sé, una garanzia sufficiente contro gli abusi”. Se una legislazione nazionale, come quella italiana, “non prevede un controllo giurisdizionale ex ante factum sulla legalità e sulla necessità di tale misura istruttoria, dovrebbero esistere altre garanzie, in particolare sul piano dell’esecuzione del mandato, di natura tale da controbilanciare le imperfezioni legate all’emissione e, eventualmente, al contenuto del mandato di perquisizione”: “quando un’operazione considerata irregolare ha già avuto luogo, il ricorso o i ricorsi disponibili devono permettere di fornire all’interessato una riparazione adeguata”.
Ciò che non è avvenuto nel caso del ricorrente, in quanto la perquisizione non ha permesso di raccogliere prove a carico, il procedimento è stato archiviato dal Giudice per le indagini preliminari, il quale non ha esaminato – perché la legge non preveda che lo faccia – né la legittimità né la necessità dell’ordine di perquisizione ed il grava,e del provvedimento è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte poiché rimedio specifico previsto solo se all’attività di ricerca della prova consegua un sequestro di beni.
La Corte conclude che, in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura istruttoria impugnata, le garanzie procedurali previste dalla legislazione italiana non siano state sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale e, nello specifico, dell’attività perquisitoria.
Lo Stato italiano è chiamato, pertanto, a recepire le indicazioni ricevute, onde prevenire future censure e sanzioni dalla Corte di Strasburgo per violazione dell’art. 8 CEDU.

 Avvocato Carlo Zaccagnini

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