Registro delle imprese. Cosa deve esservi riportato? Anche la sentenza di fallimento?
Accessibilità e ostensibilità di fatti e atti societari.
Il Registro delle imprese (hinc “il Registro”), tenuto presso le camere di commercio di ciascuna provincia italiana, è stato istituito in virtù dell’art.8 L. 29 dicembre 1993, n. 580 e del relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581). Esso contiene informazioni veridiche e pubbliche sui fatti salienti delle imprese, che vengono trattati da società private, quale ad esempio la Cerved Business Information S.p.A..
La completezza, organicità e tempestività delle informazioni societarie costituiscono caratteristiche del Registro (art. 8, VI comma, L. 580/1993): esso garantisce a chiunque il diritto di consultare i dati tramite il sistema informativo della Camera di Commercio territoriale (art. 23, D.P.R. 581/1995) e obbliga ciascun ufficio a rilasciare copia dei dati a chiunque lo richieda (art. 24, D.P.R. 581/1995); “Copia integrale o parziale di ogni atto per il quale è prescritta l’iscrizione o il deposito nel registro delle imprese deve essere rilasciata a chi ne faccia richiesta ” (art. 101 bis delle disposizioni di attuazione del codice civile).
Il “cognome e nome” dell’amministratore e gli elementi di individuazione dell’impresa (denominazione, data dell’atto costitutivo, scopo, patrimonio, durata e sede), devono essere iscritti nel Registro ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. d, del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, che obbliga l’imprenditore a indicare la struttura e l’organizzazione della società, specificando il nominativo di coloro i quali rivestono la qualifica soggettiva di amministratore. Soggette a pubblicazione sono anche tutte le modificazioni di quegli elementi e dunque, in caso di fallimento della società, anche la declaratoria di esso (che non deve essere confusa con la sentenza di condanna per reati concorsuali come la bancarotta ex artt. 223, comma1, e 224 R.D. 16 marzo 1942, n.267) (g.f. campobasso, Diritto commerciale, vol. I, ed. VII, Milano, 2015).
L’obbligo della pubblicità di atti societari ha anche rango europeo : “la nomina, la cessazione dalle funzioni nonché le generalità delle persone che, in quanto organo previsto per legge o membri di tale organo: (i) hanno il potere di obbligare la società di fronte ai terzi e di rappresentarla in giudizio, (ii) partecipano all’amministrazione, all’ispezione o al controllo della società” (direttiva comunitaria 68/151/CE, – hinc: Prima Direttiva – , recepita con D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 ; art.2, lett. d.).
Il Registro delle imprese assicura quindi una forma di pubblicità legale, volta a tutelare l’affidamento dei terzi, ed è previsto al fine di garantire la sicurezza del mercato. Ciò consente all’utente la piena acquisizione di conoscenza delle informazioni di interesse (g. carraro, Il registro delle imprese a vent’anni dalla sua attuazione)
L’adempimento pubblicitario costituisce un principio di tutela del sistema economico che risponde, a sua volta, al principio di tutela dell’ordine pubblico (A. MANTELERO, Diritto all’oblio e pubblicità del registro delle imprese, in Giurisprudenza italiana, 12/2015).
Come si tutela il diritto alla riservatezza dell’amministratore fallito?
Profilo di certo interesse è definire il periodo temporale di durata del mantenimento della notizia nel Registro e, nello specifico, ci si chiede se il legale rappresentate di società di capitali dichiarata fallita, possa avanzare alla Camera di Commercio domanda di cancellazione del proprio nome nella visura della società cessata e quando si possa considerare esaurita la finalità della iscrizione pregiudizievole ai fini di pubblicità .
Due gli interessi contrapposti in giuoco : da un lato, quello collettivo alla certezza e alla trasparenza dell’informazione societaria; dall’altro il diritto alla riservatezza dell’amministratore all’oscuramento del dato lesivo della propria immagine.
Il D.Lgs.vo 30 giugno 2003, n. 196 [1] (hinc : Codice della Privacy) predispone una deroga alla durata temporale illimitata della pubblicità commerciale : “i dati personali oggetto di trattamento sono […] conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi siano stati raccolti o successivamente trattati” (art. 11).
L’art. 7, permette all’imprenditore di ottenere “la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati.”
Anche l’art. 17 del Regolamento in materia di protezione dei dati personali del 24 maggio 2016 (hinc: GDPR), recepito con D.Lgs.vo 10 agosto 2018, n.101, riconosce il diritto degli individui a vedere cancellate tutte le informazioni non più necessarie rispetto alle finalità per cui erano state raccolte, nonché quelle trattate in maniera illecita. Tuttavia, lo stesso GDPR prevede che il diritto all’oblio dell’imprenditore ceda il passo dinanzi a interessi pubblicistici, come il diritto alla libertà di espressione e di informazione (art. 17, par. 3, lett. a).
Il contesto normativo delineato riconosce in capo al titolare dell’interesse solo la facoltà di conoscere l’uso che si faccia dei dati a lui riferiti ed il potere di controllo in merito all’uso illegittimo degli stessi (M. SARTI, Registro delle imprese e trattamento dei dati personali, in Sole ventiquattro ore, 2016).
[1] L’art. 11 Codice della Privacy trova fondamento giuridico negli artt. 8, par. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo (hinc Carta di Nizza) e 16, par. 1, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (hinc : TFUE), i quali prevedono che “ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano”.
Conflitto tra verità storica e identità attuale. Quale interesse prevale?
Da riportare è il caso deciso dal Tribunale di Lecce nel 2011 (Trib. Lecce, sent. n. 1118/2011, dep. 1.8.2011), che traeva origine dal ricorso presentato dall’amministratore unico di una società fallita che lamentava che i propri dati personali, riferiti alla società cessata, venissero trattati illegittimamente da società private di informazione professionale, arrecando un danno alla propria immagine (diritto all’oblio dell’amministratore, titolare del c.d. right to be forgotten.).
Chiedeva quindi la condanna della Camera di Commercio di Lecce a cancellare o anonimizzare i dati personali, ovvero a predisporre il blocco del trattamento. Il bene giuridico tutelato è sempre quello dell’identità, che va bilanciato con altri diritti costituzionali e diritti fondamentali dell’UE, quali la libertà di informazione. Il Giudice di prima istanza, contemperando i due interessi in gioco, riconosceva il diritto all’oblio dell’amministratore ricorrente ed emetteva l’ordine di anonimizzazione del dato lesivo : “la memoria storica dell’esistenza della società e delle vicissitudini che l’hanno interessata può essere ampiamente realizzata anche mediante dati anonimi”.
La Cassazione tuttavia nel luglio 2015 sollevava questione pregiudiziale avanti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ravvisando un possibile contrasto tra la Direttiva 2009/101/CE del 16 settembre 2009 , che impone senza limiti di tempo la pubblicazione delle informazioni societarie nel registro delle imprese, e le norme, sempre di rango europeo, in materia di tutela dei dati personali, in base alle quali devono essere conservati “per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati”. La Corte di Giustizia ha escluso che dal diritto europeo sia ricavabile un obbligo dei legislatori nazionali di garantire alle persone fisiche, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società in cui hanno ricoperto incarichi, la cancellazione o la resa in forma anonima o la restrizione all’accesso dei loro dati personali.
Ciò in quanto, anche secondo la Corte di Strasburgo dei Diritti dell’Uomo, nel caso del Registro delle imprese è da ritenere legittima l’ingerenza da parte di una pubblica autorità nel diritto fondamentale al rispetto della vita privata (Sentenza del 9 marzo 2017, C398/15). Rientra così nella piena discrezionalità dei legislatori nazionali, in ciò non vincolati dal diritto europeo, la decisione di introdurre o meno una “norma di eccezione” rispetto al sistema di pubblicità commerciale di cui alla Direttiva 2009/101/CE del 16 settembre 2009.
E’ esclusa dal sistema normativo italiano una “norma di eccezione” alla perpetuità delle iscrizioni pubblicitarie riguardanti le imprese : “Alla stregua […] dei compiti istituzionalmente perseguiti dalle Camere di commercio con la tenuta del registro delle imprese, è legittima, rispondendo ad un obbligo legale, l’iscrizione e la conservazione nel registro stesso delle informazioni relative alla carica di amministratore e di liquidatore, ricoperta da un soggetto in una società, ove pure in seguito questa sia stata dapprima dichiarata fallita e, poi, cancellata dal registro delle imprese, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull’interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l’istituzione del registro delle imprese soddisfa” (Cass. Civ., Sez. I, ud. 14.6.2017, dep. 9.8.2017, n. 19761, Cass. Civ., Sez. I, 17.7.2015, ud. 4/5/2015, dep. 17.7.2015, n. 15096, in De Jure.it).
La perpetuità dell’iscrizione pubblicitaria di cui si chiedeva la cancellazione è diretta conseguenza del principio di solidarietà, autonoma fonte di obblighi e tale da impedire un qualsiasi bilanciamento tra la dimensione individuale e quella collettiva, quest’ultima destinata a prevalere ; l’ amministratore della società fallita ha l’onere di dimostrare ai terzi con cui dovesse trovarsi a intrattenere relazioni commerciali che l’insolvenza della società amministrata non era stata causata da sua colpa o negligenza.
Per quanto tempo deve mantenersi l’iscrizione pregiudizievole (sentenza di fallimento)?
Il tempo “necessario” per garantire lo scopo di pubblicità commerciale del registro delle imprese (direttiva 68/151/CE e art. 11 lett. e) D.Lgs.vo n. 196 del 2003) coincide con quello dell’operatività stessa, anche potenziale, sul mercato del soggetto cui la notizia si riferisce, essendo il registro per sua natura destinato a fornire in modo durevole, non prevedibile nella sua utilità cronologica e nei confronti di una pluralità indeterminata di soggetti, tutte le informazioni in esso contenute, derivanti da precisi obblighi di deposito ed iscrizione di atti e documenti (Cass. Civ., Sez. I, 17.7.2015, ud. 4/5/2015, dep. 17.7.2015, n. 15096, in De Jure.it).
La pubblicità commerciale non ha, per sua natura, una scadenza temporale, e dunque mal si presta ad una valutazione in termini di non perdurante utilità.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha costantemente respinto le richieste di cancellazione di dati dal Registro delle imprese rivolte alla Camera di Commercio. È stato precisato che nessun ordinamento può occultare la traccia di un fatto giuridicamente rilevante che storicamente è avvenuto e di cui esso ha obbligo di conservare memoria (provvedimenti doc. web n. 1128778 del 3 aprile 2003, sul legittimo rifiuto della Camera di commercio di omettere, anche dalla visura camerale storica, qualsiasi riferimento al proprio fallimento da parte di un imprenditore dichiarato riabilitato ; doc. web n. 1185197 del 6 ottobre 2005; doc. n. 363 del 4 ottobre 2011; doc. web n. 2130054 del 18 ottobre 2012 ).
L’ex amministratore e liquidatore di una società, il cui fallimento sia stato annotato nel registro delle imprese, e successivamente chiuso con la conseguente speculare annotazione, seguita dalla liquidazione e dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, non ha diritto ad ottenere dalla competente camera di commercio la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati relativi all’iscrizione delle predette cariche, rispondendo le relative iscrizioni alla funzione della pubblicità commerciale, in adempimento dei compiti pubblicistici al detto ente affidati ed in ragione della tassatività delle iscrizioni e cancellazioni degli atti dal registro delle imprese.
In conclusione, la perennità dei dati iscritti nel registro delle imprese trova giustificazione nel suo stesso scopo: conservare per sempre la rappresentazione veritiera di una classe di fatti giuridici individuata ex lege.
Avvocato Carlo Zaccagnini