In materia di estradizione passiva, il termine di 40 giorni, entro cui lo stato richiedente deve inviare la domanda di estradizione ed i relativi allegati, ha natura perentoria o ordinatoria?
L’estradizione è strumento di cooperazione giudiziaria internazionale penale, che da mezzo di collaborazione politica è divenuto vero istituto giuridico di rilevanza interna ed internazionale disciplinato nel codice di procedura penale ed in alcune convenzioni internazionali. Tale istituto garantisce ed agevola la consegna di un cittadino da uno Stato ad un altro nelle ipotesi in cui debba essere sottoposto a procedimento penale ovvero debba trovare esecuzione una sentenza di condanna contro di lui.
La disciplina dell’estradizione trova applicazione solo residuale nei rapporti tra Stati non appartenenti all’Unione europea; ai Paesi dell’euro-zona si applica, invece, la disciplina del M.A.E. (Mandato d’Arresto Europeo).
L’estradizione si distingue in passiva o per l’estero (art. 697 c.p.p.) e attiva o dall’estero (art. 720 c.p.p.) a seconda che lo Stato italiano debba effettuare la consegna ovvero la richieda. L’analisi quivi svolta si concentra sul primo di questi due istituti.
L’estradizione per l’estero, come emerge dall’art. 697, primo comma c.p.p. consiste in un procedimento con cui uno Stato, in cui si trova un determinato individuo, consegna quest’ultimo allo Stato che ne abbia fatto richiesta affinché venga sottoposto a giudizio (estradizione processuale) o all’esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva (estradizione esecutiva).
L’estradizione passiva è consentita ai sensi dell’art. 700 c.p.p. solo previo invio di una domanda di estradizione cui sia stata allegata specifica documentazione: copia di sentenza di condanna a pena detentiva o provvedimento restrittivo della responsabilità personale.
Nell’attesa della decisione della Corte d’Appello in ordine alla domanda estradizionale e prima che questa sia pervenuta, ai sensi dell’art 715 c.p.p. è consentita l’applicazione provvisoria di una misura coercitiva. L’applicazione della misura coercitiva parte dalla domanda dello Stato estero cui però deve necessariamente seguire una richiesta del Ministro della giustizia ed infine l’emanazione di un provvedimento della Corte d’Appello.
Dunque l’applicazione delle misure cautelari non può essere disposta dalla sola autorità giudiziaria, ragione per la quale si parla di “subornazione totale del potere giudiziario a quello politico”. Il secondo comma della stessa norma disciplina i presupposti che alternativamente devono sussistere affinché possa disporsi la misura o possa procedersi all’arresto provvisorio ex art. 716 c.p.p.:
– lo Stato estero dichiari che vi sia un provvedimento restrittivo della libertà personale nei confronti della persona o sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione;
– lo Stato estero ha descritto specificamente i fatti del reato, delle pene e degli elementi e ha consentito l’esatta identificazione della persona;
– vi è pericolo di fuga.
L’applicazione provvisoria di tali misure, che avviene previa verifica della sussistenza dei presupposti soprarichiamati da parte della Corte d’Appello, cessa al quarantesimo giorno dalla comunicazione che il Ministro di Giustizia dà allo Stato estero in merito all’avvenuta applicazione della misura de qua, se non sono pervenuti al Ministro degli affari esteri o di giustizia la domanda di estradizione e i documenti di cui all’art. 700 c.p.p..
La sovrapposizione di norme – interna e pattizia – ha ingenerato dubbi sul termine di quaranta giorni da ultimo richiamato. Il dubbio interpretativo sorge al verificare che alcune Convenzioni bilaterali tra Stati prevedono un termine diverso e incompatibile con quello dell’art. 715 c.p..
Un contrasto, come quello appena ipotizzato, emerge dal confronto tra l’art. 715 c.p.p. e l’art. 23 della Convezione Italo – Tunisina relativa all’assistenza giudiziaria in materia civile commerciale e penale del 1967, che stabilisce “si potrà porre fine all’arresto provvisorio se, nel termine di venti giorni dall’arresto, il Governo richiesto non avrà ricevuto uno dei documenti menzionati al secondo comma dell’articolo 21.”
La lettura di queste disposizioni legittima il dubbio su quale sia la normativa da applicare in concreto.
Con la sentenza n. 41728 del 19 novembre 2010 la Corte di Cassazione ha sciolto tale dubbio in favore dell’applicazione dell’art. 715 ultimo comma, piuttosto che di quello previsto dalla Convenzione Italo Marocchina. Nel caso in analisi veniva sottoposta all’attenzione della Corte la violazione dell’art. 38 del Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Marocco del 12 febbraio del 1971, sostenendosi la perentorietà di tale termine di 30 giorni e di tal guisa la sua applicazione in luogo del termine più lungo di 40 previsto dal nostro codice di rito.
I giudici di legittimità, di contro, affermavano che “può concludersi che correttamente l’ordinanza impugnata ha applicato il termine massimo di durata della misura cautelare dei 40 giorni previsto dalla norma di rito, dovendosi ritenere quello inferiore contenuto nella norma pattizia meramente opzionale” (in iusexplorer.it).
Dunque a dire dei giudici di legittimità il termine di 40 giorni decorrente dalla comunicazione allo Stato estero dell’applicazione della misura coercitiva ha carattere perentorio e la sua applicazione non può arginarsi mediante il ricorso a termini inferiori, che, invece, debbono considerarsi meramente opzionali.
Avvocato Carlo Zaccagnini