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EPPO (European Public Prosecutor’s Office)

A partire dal 1 giugno 2021 è divenuta operativa la Procura Europea, istituzione indipendente disciplinata dal Regolamento EU n. 1939/2017 e frutto della cooperazione rafforzata tra 22 dei 27 Stati membri dell’UE (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna).
L’istituzione è stata creata ad hoc con lo specifico compito di condurre le indagini ed esercitare l’azione penale in relazione a delitti lesivi degli interessi finanziari comunitari, “dinnanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri” (art. 86, par.2, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) e in osservanza delle regole processuali nazionali. Lo Stato italiano ha recepito il regolamento sovranazionale mediante D.lgs.vo n. 9 del 2 febbraio 2021.

1. La struttura

Dal punto di vista strutturale, L’EPPO si articola a livello centrale e nazionale.
A livello centrale operano il collegio di Procuratori e il Procuratore capo Europeo: il primo organo, composto dal Procuratore capo e dai singoli procuratori degli Stati partecipanti, supervisiona le indagini svolte a livello nazionale definendo, altresì, la strategia e il regolamento interno dell’istituzione; il Procuratore capo assolve invece incarichi gestionali e di organizzazione, oltre a rappresentare la Procura nei rapporti con le Istituzioni europee, le Autorità nazionali e i Paesi terzi.
A livello nazionale le attività sono ripartite tra Procuratori Europei delegati e Camere Permanenti: i primi, responsabili dell’azione penale e delle indagini, possono operare in assoluta autonomia rispetto alle rispettive autorità nazionali; le Camere Permanenti, diversamente, hanno il compito di monitorare e indirizzare le attività investigative e possono adottare decisioni di natura operativa.

2. La competenza

La competenza dell’istituzione ha ad oggetto i delitti disciplinati dalla direttiva PIF (Protezione Interessi Finanziari) n. 1371/2017, così come attuata dal diritto nazionale e indipendentemente dal fatto che la medesima condotta criminosa venga diversamente qualificata dalla normativa degli Stati membri, di talché l’eventuale divergenza tra nomen juris viene risolta attraverso l’applicazione di un criterio sostanzialistico.
 La suddetta Direttiva è stata elaborata al preciso scopo di armonizzare il diritto penale degli Stati membri per i tipi di condotte fraudolente più gravi nel settore finanziario. Si tratta di provvedimento giunto a conclusione di un iter travagliato, iniziato con la ratifica ed esecuzione della legge n. 3000/2000 attraverso la quale, nel nostro ordinamento, è stata introdotta la responsabilità penale anche in capo alle persone giuridiche, meglio nota come D. Lgs.vo 231/2001.
 Il recepimento della Direttiva PIF a livello nazionale è avvenuto con D. Lgs.vo n. 75 del 14 luglio 2020, introduttivo delle seguenti modifiche:
– previsione della punibilità del tentativo nei delitti fiscali che presentino carattere di transnazionalità, purché l’imposta IVA evasa non sia inferiore a 10 milioni di euro;
– ampliamento del catalogo dei delitti tributari potenzialmente ricadenti entro la responsabilità di società (ai sensi del D.Lgs.vo n. 231/2001) alle fattispecie di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione ed indebita compensazione;
– estensione della responsabilità delle società anche ai delitti di frode nelle pubbliche forniture, frode in agricoltura e contrabbando con possibilità di modulare la sanzione a seconda che il reato ecceda o meno la soglia di 10.000 euro;
– estensione dei delitti contro la pubblica amministrazione oggetto di potenziale responsabilità societaria anche al peculato e all’abuso d’ufficio;
– ampliamento del raggio di applicazione di alcune fattispecie di corruzione ai casi in cui la sottrazione di denaro o utilità al bilancio dell’Unione produca un danno superiore a 100.000 euro;
– punibilità per corruzione di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all’Unione, quando con la propria condotta abbiano leso o messo in pericolo gli interessi finanziari dell’UE.
Il regolamento EPPO 1939/2017, in particolare, dispone che l’organo d’accusa sovranazionale abbia competenza nei casi in cui i reati PIF siano commessi nel territorio di due o più Stati membri e producano un danno non inferiore a 10 milioni di euro, ovvero per le frodi d’importo superiore a 10.000 euro riguardanti fondi dell’UE, dovendo altresì guardarsi, specie nelle ipotesi in cui nelle indagini transfrontaliere siano coinvolti cittadini di Paesi non aderenti alla cooperazione, al profilo della cittadinanza dell’imputato.
Ferme restando tali premesse, la normativa europea contempla espressamente potenziali ampliamenti di competenza. La genericità dei criteri attributivi individuati a livello comunitario ha generato questioni di non poco conto, specialmente in ragione del potenziale contrasto con il principio del giudice naturale ex art. 25 Cost, che esigerebbe una demarcazione più netta dei confini di competenza.
Invero, nell’ipotesi in cui il danno sia inferiore alle soglie suindicate, l’EPPO è considerata egualmente competente a condizione che il caso abbia avuto un certo impatto sull’Unione: si ritengono tali i delitti aventi portata transnazionale, che coinvolgano organizzazioni criminali o rappresentino una grave minaccia per gli interessi finanziari e la reputazione dell’UE, ovvero i casi in cui il fatto criminoso sia stato commesso da funzionari, agenti o membri delle Istituzioni dell’Unione.
In aggiunta, la Procura Europea è comunque legittimata ad esercitare le sue attività laddove si trovi nella posizione migliore per svolgere le indagini o introdurre l’azione penale, ferma restando l’impossibilità per la stessa di occuparsi di delitti in materia di imposte dirette nazionali e altri reati connessi, in quanto demandati all’esclusiva competenza delle autorità nazionali.
La competenza della Procura Europea ha natura concorrente, con conseguente obbligo reciproco tra le Autorità nazionali e l’istituzione di scambiare informazioni rilevanti in merito ai rispettivi ambiti di pertinenza. Il regolamento lascia liberi gli Stati membri di organizzare autonomamente le indagini penali, purché quest’ultimi si astengano dinnanzi alla decisione della Procura europea di avocare a sé il reato o di iniziare direttamente le indagini.
L’istituzione vanta inoltre altra competenza a carattere secondario, che le consente di esercitare le proprie funzioni per i delitti “inscindibilmente connessi” a quelli lesivi degli interessi euro-unitari.
Per contro, la competenza dell’EPPO resta esclusa qualora la sanzione massima prevista dal diritto nazionale per il reato PIF sia equivalente o meno severa di quella prevista per il reato connesso, esclusi i casi in cui il reato connesso abbia natura strumentale rispetto al delitto lesivo degli interessi finanziari.
Particolari problemi sorgono in riferimento alla nozione di “connessione indissolubile”, che assorbe entro il raggio operativo dell’EPPO delitti ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti. Il considerando n. 54 del regolamento europeo lega tale concetto agli orientamenti giurisprudenziali in materia di applicazione del ne bis in idem, che adottano come criterio pertinente l’identità dei fatti materiali (ovvero la sussistenza di fatti sostanzialmente identici): il concetto andrebbe dunque inteso come “esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro nel tempo e nello spazio”. A riguardo, lo stesso Ufficio del Massimario ha evidenziato non solo la presenza di forti divergenze tra la giurisprudenza della Corte di Giustizia e quella della Corte EDU, ma anche molteplici problematiche dovute alla specifica connessione con l’idem factum sostanziale, posta l’obiettiva diversità delle funzioni dei relativi concetti: in un caso, infatti, viene ristretto l’esercizio dell’azione penale, impedendo che un individuo sia sottoposto a due distinti giudizi per la stessa vicenda; nell’altro, all’opposto, si tenta di ampliare il perimetro delle indagini.
La Procura Europea è altresì abilitata ad intervenire nei casi di partecipazione ad associazioni criminali finalizzata alla commissione dei delitti PIF, ragion per cui si è posto l’ulteriore problema dei reati-fine che non rientrino nella suddetta categoria. Sul punto l’Ufficio del Massimario ha sottolineato che l’attrazione nell’area di competenza EPPO dovrebbe sempre avvenire a condizione che ricorra il requisito dell’indissolubile connessione, non potendosi considerare sufficiente la sola circostanza che i reati siano inseriti in una dimensione collettiva con quelli disciplinati dalla Direttiva.

3. I conflitti di competenza

Nel nostro ordinamento, il D.lgs.vo n. 9 del 2 febbraio 2021 (attuativo della Direttiva PIF) ha devoluto i casi di disaccordo sul riparto di competenza alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione. L’autorità designata non è tuttavia legittimata a presentare quesiti interpretativi in via pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia, che ha esplicitamente ricondotto tale facoltà ai soli organi giurisdizionali tout court.

Avvocato Carlo Zaccagnini