Cosa significa “operazione inesistente”?
Artt. 2 e 8 D.Lgs.vo 10 marzo 2000 n. 74: come difendersi dalla contestazione di emissione o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti?
Il D.Lgs.vo 10 marzo 2000 n. 74 (hinc “il Decreto”) si apre con un titolo composto da un unico articolo dedicato alle “definizioni”, volto ad evitare dubbi interpretativi sull’applicazione delle singole fattispecie incriminatrici.
L’articolo l’art.1 del Decreto fornisce alla lettera a) la nozione di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, che qualifica i delitti di cui agli artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), e 8 del Decreto (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
La definizione contempla le seguenti tre ipotesi: fatture o altri documenti emessi a fronte di operazioni (i) non realmente effettuate in tutto o in parte (ii) che indicano corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale (iii) che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi[1].
Le prime due ipotesi si riferiscono alla c.d. inesistenza oggettiva, la terza alla c.d. inesistenza soggettiva.
L’inesistenza soggettiva dell’operazione, si determina quando vi è un’indicazione mendace dei soggetti che hanno partecipato ad essa: si verifica allorché l’emittente ovvero l’utilizzatore siano soggetti diversi da coloro i quali hanno effettivamente svolto la prestazione o ricevuto la medesima, pagandone il corrispettivo[2].
L’inesistenza oggettiva prevede due tipologie di “fatture per operazioni inesistenti”:
1. inesistenza oggettiva “generale”, totale o parziale (operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte);
2. inesistenza oggettiva “speciale” (fatture o altri documenti che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale).
1.1. Inesistenza oggettiva generale totale. Per ciò che concerne l’inesistenza oggettiva generale totale (o assoluta), essa non dà luogo a problemi interpretativi in quanto si riferisce alle operazioni nella realtà non avvenute, che non hanno avuto effettivamente luogo in natura (ad es. non è mai stata venduta la merce indicata in fattura o non è stato prestato il servizio nella stessa esposto).
1.2 Inesistenza oggettiva generale parziale. L’inesistenza oggettiva “generale” parziale (o relativa) si determina quando la cessione del bene o del servizio ha avuto effettivamente luogo, ma in termini diversi ed inferiori, rispetto a quanto documentato in fattura, con conseguente artificioso incremento del corrispettivo indicato, e quindi del costo da portare in deduzione per l’utilizzatore della stessa. Tale ipotesi si verifica in primo luogo quando la divergenza tra fattura e realtà commerciale concerne la sfera quantitativa (c.d. sovrafatturazione quantitativa) dei beni e servizi indicati in fattura, i quali risultano numericamente superiori a quelli effettivi (ad es. cessione effettiva e pagamento per n. 50 beni, ed indicazione in fattura di 60). [3]
Ove la divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale si riferisca al profilo qualitativo dei beni e servizi, dottrina e giurisprudenza[4] concordano nel ritenere inesistente l’operazione (c.d. sovrafatturazione qualitativa) ; infatti, anche quando i beni o servizi indicati in fattura sono diversi, e di qualità superiore, rispetto a quelli effettivi, si determina un artificioso incremento del corrispettivo indicato nel documento contabile: “ la falsità relativa si ha anche nel caso che si indichino i quantitativi reali, con i corrispondenti prezzi, ma relativi a beni di qualità più elevata rispetto a quella effettivamente ceduta (ad es. si consegnano oggetti A di qualità media, come da catalogo, e si fa figurare di aver venduto oggetti A. di qualità superiore[5]). A sostegno della punibilità della sovrafatturazione qualitativa si 5 sostiene che “oggetto della repressione penale è ogni divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale” [6].
2. Inesistenza oggettiva speciale. Tale tipologia di inesistenza oggettiva ricorre quando le fatture o gli altri documenti indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale. L’elemento specializzante rispetto alla inesistenza oggettiva parziale di cui al punto 1.2 è rappresentato dalla circostanza per cui l’operazione ha avuto effettivamente luogo, negli stessi termini qualitativi e quantitativi documentati in fattura, con l’unica divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale attinente all’ammontare del corrispettivo e dell’Iva [7].
Le ipotesi di inesistenza oggettiva sopra elencate, ove rilevate nei termini predetti, determinano la sussistenza del delitto di cui all’art. 2 del Decreto: “il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione (ovvero quando la stessa non sia stata posta in essere nella realtà), sia nell’ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l’operazione c’è stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura), sia infine nell’ipotesi di sovraffaturazione qualitativa (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti) ”.[8]
Ogni strategia difensiva dovrà tendere ad elidere appigli logico-giuridici alla contestazione di inesistenza, tendere a dimostrare che quanto attestato nei documenti contabili non diverge dalla realtà [9], seppur sia contestabile in sede tributaria la 9 congruità dell’operazione e la correttezza della determinazione del corrispettivo che tutt’al più potrà incidere sulla deducibilità dei costi ex art. 109, comma 5 D.P.R. n. 917 / 1986 [10]. La tipicità del fatto è esclusa, infatti, solo nelle ipotesi in cui l’operazione sottesa alla fattura sia stata realmente effettuata e pagata, non rilevando la non congruità della stessa. [11]
In presenza di operazioni che hanno avuto effettivamente luogo, nei termini indicati in fattura, incluso l’ammontare del corrispettivo, eventuali contestazioni in ordine alla non congruità del prezzo dell’operazione mai potranno tradursi nella contestazione dell’art. 2 del Decreto, in quanto al di fuori della nozione di “fatture per operazioni inesistenti”: “il reato non è contestabile nell’ipotesi di non congruità dell’operazione realmente effettuata e pagata”. [12]
Gli schemi accusatori possono essere contestati mediante l’indicazione del versamento di corrispettivo superiore a quello congruo. Sarà, quindi, necessario provare a dimostrare, se la fattispecie concreta lo consenta, che nella fattura contestata vi sia una corretta rappresentazione degli elementi di fatto dell’operazione, soprattutto di tipo economico.
A tal proposito, richiamando la tipologia di inesistenza oggettiva speciale di cui al punto 2. si rileva come l’inesistenza e la falsità si incentrano sulla indicazione in fattura di un corrispettivo in misura superiore a quello reale; muovendo da una interpretazione letterale dell’espressione “misura reale del corrispettivo” è evidente che la falsità discende dalla rappresentazione in fattura di un corrispettivo superiore a quello effettivamente versato (quello reale appunto): “non sembra esservi dubbio, sul punto che per reale debba intendersi l’ammontare effettivamente corrisposto, e non già quello dovuto a seguito di una corretta applicazione delle norme tributarie” [13] .
Corollario, determinante ai nostri fini ove si riuscisse a 13 dimostrare la corrispondenza della somma indicata in fattura e versata, è che in ipotesi di coincidenza tra corrispettivo indicato e corrispettivo effettivamente versato, non vi sarebbe alcuna divergenza tra realtà commerciale e la sua espressione letterale. In altre parole, con specifico riferimento alla formula legislativa di cui all’art. 1 lett a) del Decreto, la fattura non indicherebbe affatto corrispettivi in misura superiore a quelle reale, ma indicherebbe corrispettivi in misura uguale a quella [14]: “non integra la fattispecie 14 criminosa di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti la condotta di indicazione in fattura di un importo per beni o servizi maggiorato, ma che sia stato effettivamente corrisposto dall’utilizzatore” [15].
[1] F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, 2008, pag. 413. A. Giarda, A. Perini, G. Varraso, La nuova giustizia penale tributaria Cedam, 2016, pag. 201; P. Aldrovrandi, Diritto Penale dell’Economia, Utet, 2017, pag. 623.
[2] Cass. Pen. Sez. III, 11 luglio 2012, n. 27392, in Ced, Rv. 253055.
[3] V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, Milano 2000, pag. 111; Traversi Gennai, I nuovi delitti tributari, Milano, 2000, pag. 176.
[4] Cass. Pen., Sez. III, 25 ottobre 2007 n. 1996 in iusexplorer.it.
[5] I. Caraccioli, False fatture in cerca di punibilità, in Il sole 24 ore, 25 febbraio 2008.
[6] Cass. Pen. 21 maggio 2013 n. 28352, in Ced. Rv. 256675.
[7] R. Pisano, Congruità di operazioni effettuate e pagate: mancata applicazione dell’art. 2 del D.LGS n. 74 del 2000, in Riv. Dir. trib., fasc 7-8, 2008, pag. 78.
[8] Cass. Pen. Sez. III, 21 maggio 2013 n. 28352, in iusexplorer.it.; Cass. Pen. Sez. III, 15 luglio 2011 n. 30250, in Redazione Giuffrè 2011; Cass. Pen. Sez. III., 25 ottobre 2007, n. 1996 in iusexplorer.it.
[9] Secondo consolidato orientamento della Suprema Corte l’inesistenza della fattura si determina quando sussiste “divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale” (Cass. Pen.Sez. III n. 1996 del 2007, cit.).
[10] “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente. Fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti, le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse da quelle di cui al comma 3 dell’articolo 95, sono deducibili nella misura del 75 per cent”.
[11] I. Caraccioli, Diritto e procedura penale tributaria, (a cura di Caraccioli – Giarda – Lanzi), Padova, 2001, pag. 56; A. D’Avirro, La riforma del diritto penale tributario, a cura di Nannucci – D’Avirro, Padova, 2000, pag, 59.
[12] Cass. Pen. Sez. III, 27 maggio 2015, n. 22108, in Ced. Rv. 264009 .
[13] R. Pisano, La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, in Trattati di diritto penale d’impresa, Padova, 2002, pag 411.
[14] R. Pisano, Congruità di operazioni, cit. pag. 82.
[15] Cass. Pen. Sez. III, del 7 ottobre 2010, in Cass. Pen. 2011, Volume 9, pag. 3172.
Avvocato Carlo Zaccagnini