Le pene accessorie alla condanna per bancarotta
Le pene accessorie alla condanna per bancarotta dell’amministratore di società
1. Cosa sono le pene accessorie?
Nel nostro ordinamento giuridico le pene si distinguono in principali ed accessorie.
Le prime sono inflitte dal giudice con la sentenza di condanna ex art. 533 c.p.p. ; le seconde conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali della stessa, ai sensi dell’art. 20 c.p., ovvero trovano applicazione a seguito del giudizio discrezionale del giudice (f. antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè, 705, 2003).
Le loro species sono individuate dall’art. 19 c.p., che elenca tra le pene accessorie applicabili per i delitti, l’interdizione dai pubblici uffici (art.28 c.p.); l’interdizione legale (art. 32 c.p.); l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32 bis c.p.); come anche l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione (art. 32ter c.p.) o la pubblicazione della sentenza penale di condanna (art. 36 c.p.).
Ulteriori specie sono previste dalle singole fattispecie di reato come avviene appunto per i delitti di bancarotta fraudolenta.
L’inosservanza di tali pene costituisce condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 389 c.p., che punisce il condannato irrispettoso degli obblighi o dei divieti inerenti alla pena accessoria inflitta.
Quanto alla durata, l’art. 37 c.p. dispone che, nel caso in cui la condanna importi pena accessoria temporanea, la cui durata non è espressamente determinata, “la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta […] In nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria”.
2. Le pene accessorie applicabili all’amministratore dichiarato colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta
I reati fallimentari astrattamente perpetrabili da “persone diverse dal fallito” trovano disciplina negli artt. 223 ss. del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (hinc : legge fallimentare; ovvero per brevità “l. fall.”).
L’art. 223 l. fall., rubricato “fatti di bancarotta fraudolenta” (c.d. bancarotta fraudolenta impropria), punisce, con la reclusione da tre a dieci anni, gli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite, che hanno commesso uno dei fatti preveduti dall’art. 216 l. fall., che disciplina il delitto di bancarotta fraudolenta commessa dal soggetto dichiarato fallito (c.d. bancarotta fraudolenta propria).
L’ultimo comma dell’art. 223 l. fall. rinvia all’art. 216 l. fall., ultimo comma, per estendere l’ambito applicativo della pena accessoria ivi prevista alle ipotesi di bancarotta fraudolenta dell’amministratore. Questo dispone: “Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”.
L’applicazione di tale pena accessoria, considerato il quadro normativo di riferimento, consegue obbligatoriamente alla sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta dell’amministratore di società. È un automatismo previsto dalla legge, che non lascia spazio alla discrezionalità del giudice in merito alla irrogazione della pena accessoria. Accanto alle pene accessorie – concretamente applicabili – previste per i delitti dall’art. 19 c.p., la risposta sanzionatoria comprenderà anche la pena accessoria speciale prevista dall’art. 216 l. fall.
2.1 Qual’è la durata della pena accessoria ex art. 216 l. fall?
L’art. 216 l. fall prevede una durata fissa pari a dieci anni della pena accessoria, che inizieranno a decorrere, ai sensi dell’art. 139 c.p., dopo l’integrale esecuzione della pena detentiva. Una tale estensione temporale, così indistintamente predeterminata dal legislatore, incide in senso limitativo su diritti fondamentali del condannato, senza che la sanzione sia stata proporzionata alla gravità del fatto e alla effettiva rimproverabilità del reo, come non rispetta il principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio.
Sul punto è intervenuta di recente la Corte Costituzionale, con sent. n. 222 del 5 dicembre 2018, investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 216, ultimo comma, e 223, ultimo comma l. fall., “nella parte in cui prevedono che alla condanna per uno dei fatti previsti in detti articoli conseguono obbligatoriamente, per la durata di dieci anni, le pene accessorie della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e della incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”.
Il Giudice delle Leggi ha osservato che la durata fissa della pena accessoria ex art. 216 l.fall. “non appare, in linea di principio compatibile con i principi costituzionali in materia di pena, e segnatamente con i principi di proporzionalità e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio”.
Prosegue la Corte, affermando che “il legislatore stabilisce normalmente che la pena debba essere commisurata dal giudice tra un minimo e massimo, tenendo conto in particolare della vasta gamma di circostanze indicate negli artt. 133 e 133 bis c.p., in modo da assicurare altresì che la pena appaia una risposta – oltre che non sproporzionata – il più possibile individualizzata, e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di “personalità” della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost.”.
La Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 216 l. fall. nella parte in cui non prevede che “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni ”, permettendo in tal guisa al giudice di comminare una pena che sia proporzionale e individualizzata, in conformità agli art. 3, 27, commi I e III, della Legge fondamentale.
La pena accessoria conseguente alla condanna per bancarotta fraudolenta, dunque, avrà una durata variabile, mai superiore ai dieci anni, che verrà determinata dal giudice nel rispetto dei parametri imposti dalla legge.
2.2 Quali sono i parametri previsti dalla legge per la determinazione della durata della pena accessoria?
In tema di commisurazione della durata della pena accessoria temporanea da parte del giudice, nel caso in cui il legislatore abbia indicato unicamente il limite massimo della stessa, coesistono due indirizzi esegetici. Una prima ermeneutica propende per l’applicazione dell’art. 37 c.p., vincolando la durata della pena accessoria alla durata della pena principale comminata (Cass. Pen. N. 6240 del 2015). Un secondo orientamento, maggioritario, esclude l’applicazione dell’ art. 37 c.p., e attribuisce al giudice il compito di effettuare una valutazione discrezionale della durata temporale della pena accessoria ai sensi dell’art. 133 c.p..
Tale ultima interpretazione è stata fatta propria dalle Sezioni Unite, sent. n. 28910 del 3 luglio 2019, con la quale la Corte ha chiarito che “le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.”.
2.3 La pena accessoria applicabile all’amministratore dichiarato colpevole del delitto di bancarotta semplice
La pena accessoria applicabile all’amministratore dichiarato colpevole del delitto di bancarotta semplice trova disciplina nell’art. 224 l. fall., il quale rinvia espressamente all’art. 217 l. fall. per la determinazione delle pene. L’ art. 217 l. fall. dispone che “Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni ”.
Tale disposizione desta minori profili problematici rispetto all’art. 216 l. fall, giacché contiene, sin dall’origine, la previsione della durata fino a due anni, il che la rende conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena e di necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio. La determinazione della durata della pena accessoria, dunque, è rimessa – come per l’art. 216 l. fall. – alla discrezionalità del giudice, che dovrà commisurare l’entità della stessa alla gravità del fatto e alla pericolosità del reo, ai sensi dell’art. 133 c.p..
2.4 Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza. Le novità codicistiche.
Il 14 febbraio 2019 è stato pubblicato, in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (hinc : “CCI”), approvato il 10 gennaio 2019 dal Consiglio dei Ministri e contenuto nel D.Lgs.vo 12 gennaio 2019, n. 14.
Il CCI entrerà in vigore il 1 settembre 2021 ai sensi dell’art. 389 comma 1 CCI, come modificato dall’art. 5 D.L dell’8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Cura Italia).
Il Codice nasce dall’esigenza di una riforma organica della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali di cui alla Legge Fallimentare. Tra i principali obiettivi della normativa, non vi è solo quello di rendere il concetto di fallimento (ergo, liquidazione giudiziale) l’extrema ratio delle procedure concorsuali, ma altresì quello di far emergere tempestivamente la crisi d’impresa, per consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce al fine di evitare l’insolvenza e proseguire in continuità aziendale (M. Gambardella, Il Codice della Crisi di Impresa: nei delitti di Bancarotta la liquidazione giudiziale prende il posto del fallimento, in de jure).
Ne deriva un adeguamento lessicale “a cascata” (anche) su tutta la disciplina penalistica ivi contenuta, che ha comportato l’abolizione dell’espressione “fallimento” dal panorama normativo, per sostituirla alla locuzione “liquidazione giudiziale”, così come ha espunto l’aggettivo qualificativo “fallito”, per l’espressione, certamente più rispettosa dell’individuo, di “imprenditore in liquidazione giudiziale”.
Tale adeguamento non ha tuttavia inciso sulla continuità delle fattispecie criminosa, in virtù dell’art. 2 della legge delega. Infatti, le fattispecie penali previste dalla Legge Fallimentare sono state trapiantate integralmente nel nuovo CCI senza abrogare le disposizioni previgenti: i reati di bancarotta semplice sono contenuti negli artt. 323 (propria) e 330 (impropria) , mentre le fattispecie fraudolente trovano ospitalità negli artt. 322 (propria) e 329 (impropria).
L’ unico scostamento testuale rispetto alla legge fallimentare concerne la previsione, in seno all’art. 322 CCI, ultimo comma, della durata della pena accessoria fino a dieci anni, in ossequio all’intervento correttivo operato dalla Corte Costituzionale, con sent. n. 222 del 5 dicembre 2018, riportata su